On. Salvatore De Meo
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Secondo lo State of the Global Climate 2021, il rapporto annuale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, gli ultimi sette anni sono stati i più caldi da quando ci sono rilevazioni scientifiche cioè dalla fine dell’Ottocento. Non solo, l’innalzamento del livello del mare ha raggiunto un nuovo massimo, mentre gli eventi estremi sono diventati ormai la normalità. In questo contesto, la Cop26 tenutasi a Glasgow ha rappresentato uno scenario di intensi negoziati tra circa 200 Paesi sui tagli alle emissioni di gas serra e sugli effetti del riscaldamento globale. L’obiettivo principale della Cop26 è stato proprio quello di condividere azioni strutturali per limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C, intervenendo sul taglio delle emissioni, decarbonizzazione e deforestazione. Quello di Glasgow è stato il ventiseiesimo vertice annuale. Nel mio intervento durante i lavori della plenaria a Strasburgo ho voluto mettere proprio in evidenza come questo significhi che sono trascorsi 25 anni durante i quali ci siamo sempre interrogati, trovandoci d’accordo o meno su quali e su quanti risultati siamo riusciti ad ottenere. Nel frattempo però la natura ci ha dato molti più segnali ed avvertimenti di quanti ne siano arrivati dalle piazze degli attivisti e dai dibattiti teorici. Io sono tra quelli che crede che di passi in avanti ne abbiamo fatti e dobbiamo farne ancora tanti altri, ma sono convinto che il forte slancio fatto dall’Europa con una strategia ambiziosa e coraggiosa debba essere caratterizzato da un senso pratico che in molti casi è stato travolto da demagogia e scontri ideologici, favorendo l’errata convinzione che il tema ambiente appartenga ad alcuni e non a tutti. L’ambiente non è una fede religiosa, ciò che la natura ci ha dato appartiene a tutti e tutti dobbiamo salvaguardarlo e consentirne il godimento a chi verrà dopo di noi. Bene ha fatto l’Europa ad occupare la scena mondiale per la lotta ai cambiamenti climatici stimolando anche i Paesi più reticenti come la Cina, ma è necessario farlo coinvolgendo il nostro sistema produttivo che non va demonizzato, anche perché noi europei siamo già i più virtuosi nel rispetto dell’ambiente al contrario di chi continua a produrre a condizioni diverse generando fenomeni di concorrenza sleale ed indebolendo l’autonomia produttiva europea. Una cosa è certa: se l’Europa vuole veramente essere leader nella lotta ai cambiamenti climatici deve avere un’economia forte e competitiva per poter aiutare anche i Paesi in via di sviluppo a finanziare una transizione verde dove la sostenibilità sia declinata in versione ambientale, sociale ed economica.