
Dopo settimane di forti tensioni e il rischio concreto di una guerra commerciale, Stati Uniti e Unione Europea hanno finalmente raggiunto un’intesa sui dazi. L’accordo, annunciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente americano Donald Trump, prevede un’aliquota tariffaria base del 15% per gran parte dei prodotti europei esportati negli USA, scongiurando così l’imposizione al 30% minacciata dal tycoon americano. Si tratta, tutto sommato, del miglior risultato possibile, considerato il difficile e sempre più imprevedibile interlocutore.
È stato evitato un conflitto che avrebbe colpito duramente le nostre economie, aggravando le incertezze geopolitiche e indebolendo l’intero fronte occidentale in un momento storico delicatissimo. L’accordo, che dovrebbe entrare in vigore dal 7 agosto, presenta tuttavia ancora diversi aspetti da chiarire, a partire dalle esenzioni, dai criteri di applicazione e dall’impatto su settori sensibili come acciaio, alluminio, farmaceutica e microelettronica. Restano infatti in vigore i dazi del 50% su acciaio e alluminio, mentre sono previste esenzioni per aeromobili, alcuni beni industriali e materiali strategici.
Anche il dossier sulla web tax e sul digitale resta aperto. Particolare attenzione merita il comparto agroalimentare e il Made in Italy. Il rischio di vedere applicate tariffe del 30% su molti dei nostri prodotti d’eccellenza era concreto e imminente. Il contenimento al 15%, frutto di una mediazione complessa, è certamente un fatto positivo, ma non sufficiente a rassicurare del tutto le nostre imprese. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti nel settore agroalimentare hanno raggiunto nel 2024 quasi 8 miliardi di euro, rappresentando oltre un quarto dell’intero export comunitario e circa un decimo del totale italiano. Per molte di queste produzioni, pensiamo a formaggi, salumi, pasta e olio extravergine, il passaggio da un dazio medio del 5% a uno fisso del 15% comporta un triplicarsi del prelievo doganale, con effetti che rischiano di erodere la nostra competitività.
Preoccupa, soprattutto, il futuro del vino italiano, che attualmente sconta un dazio ridotto al 2,5%. In assenza di una conferma dell’esenzione, l’aumento previsto rischia di tradursi in centinaia di milioni di euro di perdite, colpendo uno dei settori più trainanti del nostro export agroalimentare negli USA. Per questo sarà essenziale ottenere rapidamente chiarimenti e lavorare per includere il maggior numero possibile di prodotti agroalimentari nei regimi speciali di esenzione.
Condivido pienamente la linea indicata dal vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha convocato alla Farnesina una riunione urgente con il mondo imprenditoriale per valutare gli impatti dell’accordo e definire un piano operativo a supporto dell’export. È questo il punto centrale su cui dobbiamo insistere: da un lato, lavorare per rendere l’intesa più completa e sostenibile nel tempo; dall’altro, adoperarci per garantire, a livello nazionale ed europeo, strumenti efficaci di tutela e accompagnamento per le imprese.
Serve però anche uno sforzo strutturale. Dobbiamo porci una domanda cruciale: cosa può fare l’Europa per rafforzare sé stessa? La risposta passa per la semplificazione delle regole, la riduzione della burocrazia, la diversificazione degli accordi commerciali e la diminuzione delle dipendenze strategiche. Solo così potremo affrontare i futuri shock globali con maggiore resilienza e restituire competitività alla nostra economia.
Come Forza Italia al Parlamento europeo, continueremo a batterci con determinazione per correggere la rotta ideologica seguita durante lo scorso mandato e riportare al centro dell’azione europea politiche pragmatiche, concrete e orientate ai bisogni reali di cittadini e imprese.